La Direttiva Bolkestein (2006/123/CE) non si applica alle concessioni di servizi. Lo ha ribadito anche la famosa (per i balneari, famigerata) sentenza della Corte di Giustizia UE “Promoimpresa” (che ha stabilito l’applicabilità della Direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali): 45. […] le disposizioni relative ai regimi di autorizzazione della direttiva 2006/123 non sono applicabili a concessioni di servizi pubblici che possano, in particolare, rientrare nell’ambito della direttiva 2014/23. […] 47. […] nei procedimenti principali, come sottolinea la Commissione, le concessioni vertono non su una prestazione di servizi determinata dell’ente aggiudicatore, bensì sull’autorizzazione a esercitare un’attività economica in un’area demaniale. Ne risulta che le concessioni di cui ai procedimenti principali non rientrano nella categoria delle concessioni di servizi […]. Come ben si nota, la ragione per cui la Corte di Giustizia UE ha stabilito l’applicazione della Direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali marittime è che esse sono configurate come concessioni di beni e non di servizi. Essenzialmente, nella concessione di beni l’ente pubblico attribuisce al privato il diritto di utilizzare un bene pubblico, nella concessione di servizi, invece, il privato assume l’obbligo di gestire un servizio pubblico. Le concessioni di servizi ricadono in una diversa Direttiva, la 2014/23/UE, che (al cons. n. 15) prevede infatti: “taluni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico […] mediante i quali lo Stato oppure l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore fissa unicamente le condizioni generali d’uso senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero configurarsi come concessioni ai sensi della presente direttiva”. Attualmente in Italia le concessioni demaniali marittime rientrano dunque (ove ricorra il presupposto della scarsità della risorsa, che è tuttora argomento di discussione) nella Direttiva Bolkestein e non nella Direttiva concessioni, perché sono configurate come concessioni di beni, in quanto l’ente concedente attribuisce al concessionario il diritto di utilizzare il bene demaniale stabilendo unicamente le condizioni generali di tale uso. Per uscire dalla sfera di applicazione della Direttiva Bolkestein, quindi, lo Stato potrebbe istituire uno specifico servizio pubblico di balneazione attrezzata e prevedere l’obbligo da parte del concessionario di fornirlo, trasformando così le concessioni delle spiagge da concessioni di beni demaniali a concessioni di servizi espletate tramite beni demaniali. Il discrimine, infatti, come si è visto, è proprio l’esistenza o meno di un servizio pubblico e di un obbligo in capo al concessionario di esercitarlo. L’esempio con maggiori analogie è dato dalle piscine comunali, che sono frequentemente gestite nella forma della concessione di servizio pubblico. I rapporti economici sono i medesimi delle attuali concessioni demaniali marittime: il concessionario paga un canone all’ente pubblico e l’utenza paga il servizio al concessionario. Con questo “piccolo” cambiamento, si uscirebbe dalla Direttiva Bolkestein e si entrerebbe nella Direttiva concessioni, la quale, però, prevede una soglia di rilevanza comunitaria di € 5.382.000 di fatturato presumibile nel periodo di concessione (art. 8), sotto la quale l’obbligo comunitario di gara sussiste unicamente per le concessioni di interesse transfrontaliero certo (per le quali si applica comunque la libertà di stabilimento di cui all’art. 49 TFUE). Ad oggi in Italia l’accertamento dell’esistenza dell’interesse transfrontaliero certo è rimesso ai singoli enti concedenti, in base a criteri molto generali, riportati anche nelle linee guida n. 4 dell’ANAC, che sono sostanzialmente: il valore, il luogo ed eventuali caratteristiche tecniche particolari. Nel caso dell’ipotizzato servizio pubblico di balneazione attrezzata, non vi sono caratteristiche tecniche particolari, i valori sarebbero talmente più bassi della soglia comunitaria di € 5.382.000 da non poter essere di per sè considerati un motivo di interesse transfrontaliero certo (altrimenti la Direttiva avrebbe previsto una soglia inferiore), mentre rimane incerto il presupposto della collocazione geografica. Quest’ultimo nasce come vicinanza ad un confine. Lo si nota nella sentenza della Corte di Giustizia UE “Secap” del 15 maggio 2008: “in alcuni casi, le frontiere attraversano centri urbani situati sul territorio di Stati membri diversi […] in tali circostanze, anche appalti di valore esiguo possono presentare un interesse transfrontaliero certo” (p. 31). Sulla base di questa interpretazione, l’interesse transfrontaliero certo sussisterebbe solo per eventuali spiagge a ridosso del confine, ossia forse al massimo per talune spiagge dell’estremo Ponente ligure e da Duino a Muggia. Nella sentenza Promoimpresa, tuttavia, la Corte di Giustizia ha ritenuto di interesse transfrontaliero certo una concessione sul lago di Garda anche per la sua “situazione geografica”. Questa affermazione non è accompagnata da un’analisi giuridica che ne illustri la ragione e quindi non sembra potersene ricavare un criterio estensibile sul piano generale. D’altronde il presupposto in questione (posizione geografica che determina un interesse transfrontaliero certo) non può allargarsi al punto di divenire del tutto vago e indefinito. La succitata sentenza “Secap” consente che i criteri per determinare l’interesse transfrontaliero siano precisati da ogni singolo Stato membro: 31. […] una normativa può certamente stabilire, a livello nazionale o locale, criteri oggettivi che indichino l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo. Tali criteri potrebbero sostanziarsi, in particolare, nell’importo di una certa consistenza dell’appalto in questione, in combinazione con il luogo di esecuzione dei lavori. Si potrebbe altresì escludere l’esistenza di un tale interesse nel caso, ad esempio, di un valore economico molto limitato. Dunque, oltre all’istituzione del servizio pubblico di balneazione attrezzata ed alla previsione della concessione di tale servizio, con obbligo di esercitarlo, occorrerebbe altresì introdurre i criteri oggettivi di determinazione dell’interesse transfrontaliero certo per tale specifico servizio, sulla base della posizione e del fatturato. Tali criteri, se formulati in modo razionale, non sarebbero censurabili. Sul valore, sarebbe difficile sostenere l’irrazionalità di una soglia molto inferiore a quella prevista dalla Direttiva concessioni e qui lo spazio sembra molto ampio. Quanto alla posizione, non essendovi sul punto una specifica normativa UE di livello secondario, si potrebbe far riferimento alla particolare vicinanza ad un confine, richiamando il p. 31 della sentenza “Secap” della Corte di Giustizia UE. Il quadro andrebbe, infine, completato mediante la previsione, nel codice dei contratti pubblici, di una nuova soglia (di fatturato presunto) specifica per questo nuovo servizio speciale (ovviamente inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria di € 5.382.000), al di sotto della quale l’affidamento in concessione di servizi viene attribuito in via prioritaria agli attuali concessionari demaniali. Eventuali strutture ricettive sul demanio “a monte” delle spiagge andrebbero scorporate da esse, per restare soggette al regime di concessione demaniale, ma in palese assenza del presupposto della “scarsità della risorsa naturale”, non essendo arenili, oppure assoggettate al procedimento di sclassifica e alienazione, avendo perduto le loro originarie caratteristiche tipiche della demanialità. Il codice dei contratti pubblici potrebbe prevedere l’affidamento diretto della concessione di servizio pubblico di balneazione attrezzata agli eventuali concessionari (o proprietari) di strutture ricettive situate al confine con l’arenile. Con queste modifiche normative, il problema delle concessioni balneari potrebbe essere risolto in via definitiva.